Mahsa Amini era una giovane donna curdo-iraniana in vacanza con la famiglia a Teheran. Il 13 settembre scorso la polizia morale iraniana (il Gasht-e Ershad, pattuglia della morte) l’ha arrestata perché dal velo le sfuggiva una ciocca di capelli e l’ha percossa fino a condurla alla morte il 16 settembre.
La sua morte è diventata la miccia di una protesta che dilaga in tutto l’Iran e si è diffusa a livello internazionale per denunciare la continua violazione dei diritti umani da parte del regime fondamentalista della Repubblica islamica, della sua cultura patriarcale, discriminante ed oppressiva nei confronti delle donne (che arriva addirittura a vietare la trasmissione di cartoni animati in cui compaiano personaggi femminili senza velo, ad esempio i Simpson) e violentemente repressiva nei confronti di tutti gli oppositori al regime e delle aspirazioni di libertà dei curdi iraniani.
La macchina repressiva del regime si è messa subito in moto contro le proteste delle donne che nelle pubbliche piazze si sono tolte l’hijab, spesso l’hanno bruciato, hanno tagliato i capelli, chiedendo la fine dell’apartheid di genere e della dittatura, contro gli studenti universitari e medi che hanno abbandonato le aule in segno di protesta, contro i canti di libertà (tra i quali “Bella ciao”) che si sono levati dalle terrazze sfidando il coprifuoco e la repressione armata. Dopo 16 giorni di proteste, Iran Human Rights, Ong con sede in Norvegia, ha dichiarato che finora sono state uccise 133 persone in tutto l’Iran.
Nonostante le morti e gli arresti (anche l’italiana Alessia Piperno e altre nove persone straniere, sono state incarcerate, accusate dal regime iraniano di aver partecipato alle manifestazioni e averle fomentate), le coraggiose donne iraniane continuano a sfidare il regime, insieme ai giovani e a tutti i sinceri democratici del paese, adottando non a caso le parole della rivolta delle milizie popolari curde “Jin, Jyian, Azadì! “(“Donne, Vita, Libertà!) che ricordano il sacrificio delle combattenti curde che hanno vinto la guerra all’Isis, una guerra combattuta anche per difendere l’Occidente, e che adesso muoiono a causa delle epurazioni del regime turco di Erdogan, nell’indifferenza di quello stesso Occidente.
La solidarietà internazionale alle donne iraniane si è diffusa nella società civile: donne di tutto il mondo si tagliano i capelli in segno di protesta, nelle piazze si organizzano manifestazioni di sostegno e per pressare i propri governi a prendere una posizione di ferma condanna della violazione dei diritti umani ovunque essa accada. Anche il nostro Liceo, coerentemente alla propria tradizione di impegno sui temi della mondialità, della pace, dei diritti civili e della lotta alla discriminazione di genere, si associa alla protesta e alla condanna dei soprusi del regime iraniano.